martedì 22 ottobre 2013

Nike e superga

Antefatto, ore 8.00. Un qualunque martedì, di una qualunque settimana. Dobbiamo andare, che scarpe vuoi indossare, Nike o superga a fiorellini? Ehm, superga, no Nike...vabbe' superga. Dobbiamo andare e' tardi. Superga ai piedi. Tra le scale risuona: mamma, ma queste scarpe mi fanno gioco al tallone. Mi vanno larghe. Il quarto piano diventa portone. L'ufficio lamentele non registra nessuna doglianza. Macchina, solletico, Beethoven. Senti come crescono le note? Lo sai che con la tua bacchetta magica puoi dirigere l'orchestra? Mani che dirigono un'orchestra che non c'è.
Semaforo verde. Bar. Caffè cornetto. Muffin per papere. Asilo. Su per la scala. Maglietta a mezze maniche, che l'estate non ha voglia alcuna di cedere il passo. Bonne journee ma chere.

Ore 14.30. Occhi da maestra mi cercano. E cercano anche le parole per dirlo. Le escono d'un fiato. Giardino, esterno giorno. Un tallone perde una superga a fiorellini. Vani i tentativi di un recupero. La maestra si avvicina, ignara. Vuole offrire aiuto. Minou la respinge. È che quella scarpa non doveva essere li. Si chiamano i rinforzi, assurge la direttrice. Arriva e non sorride (voce di minou sul sedile dell'auto, di ritorno verso casa). Opposizione minuense. La direttrice, se non rimetti la scarpa chiamo mamma e le dico che hai strattonato la maestra. Minou annuisce. Capitola chiede scusa. Scusa perché non ha parlato a sufficienza con la sua mano. Scusa perché ha dimenticato che non si fa, scusa perché, nella sua mente a forma di bambina quelle scarpe già non le appartenevano più, peccato che mamma stamattina ha detto che aveva fretta.....la voce della maestra si spegne. Emme fornisce chiavi interpretative. La voce della maestra si fa promettere di non dire nulla a minou. Di lasciare che sia lei a parlare. Non resisto alla tentazione. Facciamo il gioco di a-domanda-rispondo. E la storia viene fuori. Come un fiume carsico. Le leggo la paura negli occhi. Quel dico-a-mamma-che-hai-strattonato-la-maestra, ha sortito il suo effetto. Indurre il timore, atavico, del guarda-che-lo-dico-a-mamma. (la maestra ha omesso il particolare "fisico"). Le ho detto che le voglio ancora più bene. Sempre. Di non temere, perché io capisco e la conosco.
Da domani niente fretta e, soprattutto, Nike ai piedi.